“Beata te che vivi all’estero!”
Alzi la mano chi non se lo è sentito dire almeno una volta nella vita!
Bene! Vedo diverse mani alzate, mettetele pure giù ora.
Ovviamente è capitato anche a me e non una volta sola, ma innumerevoli.
Il commento parte come un riflesso incondizionato da ogni dove e nei momenti più inaspettati, dalla cassiera del negozio dove non volete fare la famosa tessera e tentate di spiegare il più brevemente possibile il motivo, all’amico o al parente più lontano, ma anche a quello più prossimo.
Questa esclamazione parte come un fulmine a ciel sereno e per assurdo non dipende nemmeno dal luogo dove si vive in quel momento.
Che fosse l’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’India non importa, il coro del beata è stato sempre uguale.
Il significato ed il senso di tale affermazione però ho scoperto con il tempo avere tantissime sfumature diverse perchè parte dall’immaginario e dal vissuto di chi la pronuncia e alla fin fine c’entra davvero poco con me e con la realtà in cui vivevo in quel momento.
Ci sono molti stereotipi legati a questa vita all’estero.
E come dice benissimo la favolosa Chimamanda Ngozi Adichie, nel suo più famoso Ted Talk “The Danger of a single story”
“…the problem with stereotypes is not that they are untrue, but that they are incomplete.
They make one story become the only story”
Ovvero: “…il problema degli stereotipi non è che non siano veritieri, ma che sono incompleti. Fanno diventare una storia, la sola storia.”
Ed è proprio così, ci sono molte leggende a riguardo.
Badate bene che non sto dicendo che vivere all’ estero non abbia dei vantaggi, li ha, no doubt, ma non è tutto rose e fiori, unicorns and rainbows.
E per assurdo i motivi per i quali io e la mia famiglia ci sentiamo grati di questa vita, spesso non sono affatto quelli per i quali gli altri pensano che siamo così beati.
Concedetemi di farvi qualche esempio su quel che intendo, con un po’ di ironia, non si può vivere senza, almeno io non posso.
In quel beata te che vivi all’ estero spesso si sottende (e nemmeno troppo) l’allusione ad una vita edulcorata, fatta solo di piaceri, divertimento, leggerezza, aperitivi in riva al mare o in locali del jet set internazionale, attorniati da esotiche frequentazioni con cui si ha un feeling pressoché immediato.
Vita agiata e facile, dove tutto si trova già direttamente lì sul posto, fatto, finito ed infiocchettato in attesa del nostro arrivo sulla slitta di Babbo Natale o per mano a Peter Pan.
Tutto come in un film della Disney o uno spot pubblicitario Club Med.
Il punto è che spesso le persone giudicano senza aver provato o sperimentato in prima persona, basando le loro congetture se va bene su vacanze, se va male sul sentito dire, su radio moquette o riviste e servizi televisivi romanzati.
Sicuramente lo stereotipo è anche alimentato dalla non voglia di scendere troppo nei dettagli di tutte le vicissitudini che hanno caratterizzato la nostra vita estera in quelle sporadiche calate italiche in cui magari si vuol parlar d’altro, anche per non cadere nei soliti commenti a gratis e nel consueto “beata te, qui invece…”
Figuriamoci poi se con la commessa o il commesso di turno mi metto a raccontare aneddoti vari di vita personale, e così spesso mi limito ad abbozzare un mezzo sorriso mentre loro immaginano la mia vita in India, trascorsa in centri Ayurveda con un fior di loto dietro l’orecchio mentre sorseggio un Chai.
Comunque, aldilà della facile ironia, quello che forse a molti sfugge è la conoscenza diretta della complessità di questa vita all’estero, la fatica, la resilienza ed il coraggio che si mettono in campo ogni volta.
La forza che ci vuole nello sradicarsi pur amando volare.
La sensazione di quel brivido che si ha ogni volta che si spicca il volo per andare altrove.
Quel senso di apnea che ti prende nella gestione e supporto costante degli stati d’animo di tutti i membri della famiglia e poi solo dopo dei propri.
Il survival mode in cui si entra con coltello tra i denti per procacciarsi il cibo in luoghi nuovi, trovare un medico, capire la burocrazia, la geografia, la lingua che si pensava di sapere e poi si scopre che un accento diverso fa tutta la differenza del mondo.
Nella frustrazione del tutto doppio perché il container arriva sempre dopo quando lo aspettavi.
Nei materassi gonfiabili per terra e nel campeggio domestico che ne deriva.
Dei mille oggetti e mobili rotti in ogni trasloco inclusi i nervi ed il cuore per tutti quegli arrivederci.
All’ interfacciarsi con culture nuove che pensavi di conoscere perché ti eri “informata”, ma che poi ti accorgi che viverci è tutta un’altra cosa.
E badate bene che non si mi sto lamentando affatto!
Sto solo riassumendo alcuni aspetti che la dimensione del “beata te” in realtà forse non vede, ma che esistono.
Poi come in ogni percorso della vita, più lo si fa e più si diventa esperti, il nostro cervello impara è plastico per nostra fortuna e come si suol dire “non diventa più facile, ma si diventa più forti”
E se vi dovessi dire quali sono i veri motivi per cui mi sento fortunata sono tutti quelli che scaturiscono dal cambiamento, dal rimettersi in gioco ogni volta, riadattarsi, mutando, ma rimanendo fedeli a se stessi ai propri valori, senza però mai negare quelli altrui.
Non esiste una sola versione di una storia, ma molte.
Ricerche di Yale ci dicono che accumulare esperienze di vita è ciò che ci rende davvero felici nel lungo termine, più che accumulare “cose”.
E così coltivare connessioni con persone che s’incontrano lungo il cammino.
Alcuni dicono che gli amici della vita li si incontra tra i 16 e i 20 anni, ma io posso dire che salvo davvero pochissimi casi, le persone più incredibili e care le ho incontrate proprio tra i 30 e i miei attuali quasi 47 anni di vita e non sono persone necessariamente della mia stessa cultura e background, anzi.
E mi sento anche estremamente grata nel vedere i vasti orizzonti che stanno sviluppando i nostri ragazzi, sempre aperti e pronti ad ogni cambiamento di contesto e di relazione, abilità che sono certa siano sempre più vitali per la loro crescita e la loro serenità interiore.
Nulla li sorprende, non hanno resistenze, ma solo sana curiosità e capacità di sospensione del giudizio in ogni situazione, pur essendo abili nell’afferrare in fretta la complessità che li circonda.
E quindi sì, mi sento estremamente grata di tutto ciò, ma per la beatificazione, ecco, aspetterei ancora un po’…
Monica ~ India